a cura di Rossella Ceccarini
TRIBUNALE DI FIRENZE, Sezione V Civile – concorsuale – sentenza del 08.01.2025
La Sezione Quinta del Tribunale di Firenze, con la sentenza emessa in data 8 gennaio 2025, ha omologato il concordato preventivo proposto da una società escludendo la commissione, da parte dell’amministratore, di “atti di frode” secondo il disposto dell’art. 106 CCII, seppur rilevanti sotto il diverso profilo del dovere di correttezza e buona fede stabilito dall’art. 4 CCII.
La questione affrontata dal Tribunale di Firenze ha origine dalla segnalazione, fatta dal commissario giudiziale nella propria informativa nell’ambito di un procedimento per l’omologa di un concordato preventivo, di possibili atti di frode commessi dall’amministratore unico rilevanti ex art. 106 CCII e apparentemente pregiudizievoli per il ceto creditorio.
Nel caso in esame, il Tribunale di Firenze – dopo aver rilevato i seguenti comportamenti tenuti dall’amministratore unico: i) rimborsi spese non documentati o non previamente comunicati al commissario giudiziale, in contrasto con il principio di prudenza e con il prioritario interesse dei creditori e ii) pagamenti personali effettuati senza adeguate delibere o in momenti inopportuni, con il rischio di compromettere gli obiettivi del piano concordatario ed i rapporti con controparti strategiche –, ha distinto gli atti di “mala gestio” da quelli di “frode” previsti dall’art. 106 CCII, osservando che, sebbene le condotte dell’amministratore unico non siano allineate al principio di gestione prudente, esse non configurano atti in frode. La frode, infatti, richiede omissioni o esposizioni distorte che alterino la percezione dei creditori sulla proposta concordataria. Nel caso specifico, gli atti sono stati portati all’attenzione del commissario giudiziale e dei creditori, garantendo così un consenso informato. Il Tribunale ha analizzato alcuni comportamenti posti in essere dall’amministratore unico della società ritenuti non conformi ai doveri di correttezza e buona fede del debitore, così come fissati dall’art. 4 CCII. Tale norma stabilisce, infatti, che il debitore deve agire secondo buona fede e correttezza in tutte le fasi della regolazione della crisi, incluse quelle preliminari, come la composizione negoziata, con la precisazione che questo obbligo assume particolare rilevanza durante la procedura, quando il rischio per i creditori è particolarmente elevato.
Con la sentenza emessa in data 8 gennaio 2025, i giudici hanno chiarito i tratti costitutivi della nozione di “atto in frode” – definizione che l’art. 106 CCII, come il vecchio art. 173 LF, mantiene aperta, cioè non preventivamente tipizzata (esso infatti elenca sì una serie di condotte, ma che tuttavia non esauriscono la categoria, lasciando spazio alla possibilità di commissione di “altri atti in frode” oltre a quelli descritti dalla norma, rilevanti ai fini della revoca dell’apertura della procedura) – dove si pongono due aspetti che stanno a monte della variegata tipologia di condotte sanzionabili: da un lato, “deve trattarsi (…) di una circostanza la cui esistenza viene taciuta nella sua materialità ovvero pure esposta in modo non adeguato e compiuto, come successivamente venuta alla luce in esito alle verifiche ed analisi compiute dal commissario giudiziale”, e, dall’altro lato, “questo deficit informativo dev’essere (…) tale da risultare per sé idoneo ad alterare la cognizione informativa dei creditori e quindi a incidere in modo significativo sulla valutazione compiuta dagli stessi” (Cass., Sez. I, sentenza n. 25458 del 10/10/2019 (Rv. 655347 – 01).
Secondo il Tribunale, nel caso di specie, “le condotte in questione non risultano essere state sottaciute al commissario, e non vi è stata un’omissione informativa su fatti rilevanti tali da alterare la percezione o la conoscenza delle caratteristiche fondamentali della proposta e del piano e che potesse influire sull’espressione di voto dei creditori e sulla formazione del loro consenso o dissenso”. Si tratta, tuttavia, di comportamenti non totalmente in linea con i doveri posti in capo al debitore nelle procedure di accesso agli strumenti di regolazione della crisi sanciti dall’art. 4 CCII. La norma in questione, oltre a prevedere un dovere generale di comportamento secondo buona fede e correttezza in tutte le fasi della risoluzione della crisi, compresa quella stragiudiziale della composizione negoziata (comma 1), individua per quello che qui interessa (comma 2, lett. c), uno specifico dovere del debitore di gestire il patrimonio dell’impresa “durante i procedimenti” nell’interesse prioritario dei creditori. Come evidenziato dai primi commenti alla norma, la disposizione in questione è ricollegata al principio di responsabilità patrimoniale statuito dall’art. 2740 c.c., secondo cui il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i beni presenti e futuri.