a cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I Penale, sentenza n. 5514 dell’11.12.2024 depositata l’11.02.2025
La Prima Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5514 dell’11 dicembre 2024 pubblicata l’11 febbraio 2025, ha affermato che l’art. 84 d.lgs. n. 159/2011 non disciplina il provvedimento amministrativo del Prefetto né lo tipizza, ma contiene solo la definizione della documentazione antimafia.
La questione riguarda un ricorso avverso il decreto emesso dalla Corte d’Appello di Napoli – Sezione Misure di prevenzione che aveva confermato il decreto del Tribunale di Napoli che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di applicazione del controllo giudiziario volontario ai sensi dell’art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011 avanzata da (…) s.r.l. a seguito dell’emissione da parte del Prefetto di Napoli dell’informativa antimafia a carattere interdittivo.
Secondo la Suprema Corte, la comunicazione e l’informazione sono due forme di documentazione alle quali corrispondono due tipologie diverse di provvedimenti per il rilascio dei quali è competente il Prefetto. La prima, peraltro, può essere sostituita da un’autocertificazione dell’interessato a norma dell’art. 89 d.lgs. n. 159/2011. L’informazione antimafia è richiesta solo per operazioni che superino certe soglie di valore, ovvero che siano poste in essere in settori sensibili e, stante la sua destinazione ad attività che richiedono una più alta soglia di attenzione, comporta un accertamento più articolato, quindi assume più propriamente – in forza della necessaria valutazione e dell’imprescindibile motivazione – i caratteri del provvedimento amministrativo, ad onta del richiamo testuale alla forma dell’attestazione. Ed infatti, per questo, è esclusa la possibilità di sostituirla con un’autocertificazione. La disciplina del provvedimento che contiene l’informazione non è dunque nell’art. 84 d.lgs. n. 159/2011, ma la si rinviene nell’art. 91 d.lgs. n. 159/2011. Il comma 1 indica i soggetti che sono tenuti a richiederla, il comma 3 stabilisce come devono avanzare la richiesta, il comma 4 specifica cosa devono indicare nella richiesta e, infine, il comma 5 (integrato dal comma 6) regola lo svolgimento dei compiti del Prefetto per giungere all’accertamento delle situazioni da attestare nel provvedimento. Dopo avere delineato i contenuti che devono confluire nel provvedimento contenente l’informativa antimafia, nello stesso comma 5 dell’art. 91 d.lgs. n. 159/2011, il legislatore aggiunge che “il prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”. Poiché l’informativa raccoglie i dati dai quali desumere il rischio di infiltrazione in una prospettiva anticipatoria, attesta una situazione in evoluzione rispetto alla quale è necessario un intervento preventivo che valga ad impedirlo e costituisce uno strumento per vigilare sulle condizioni che, di volta in volta e nel tempo, possono minacciare gli interessi della pubblica amministrazione, l’ordine pubblico economico ed il libero mercato in conseguenza del propagarsi pervasivo e cangiante dei fenomeni criminali. Connotato specifico della documentazione antimafia è la validità temporanea, fissata dall’art. 86 d.lgs. n. 159/2011 in sei mesi per la comunicazione ed in un anno per l’informazione. Il termine è fissato in via generale ed è rispondente alla finalità di entrambi gli istituti. Nei casi in cui la comunicazione o l’informazione siano liberatorie, nell’arco del termine di validità potrebbero sopravvenire cause di decadenza, di sospensione o di divieto o elementi dai quali desumere tentativi di infiltrazione; ma anche nel caso in cui non siano liberatorie potrebbero intervenire circostanze che mutano le condizioni. Se tendenzialmente una comunicazione antimafia che attesti cause di decadenza, di sospensione o di divieto assume di fatto la stabilità di contenuto che le deriva dalla definitività dei provvedimenti i cui effetti attesta, per l’informazione interdittiva la necessità di un aggiornamento deriva dalla sua stessa natura tracciata dalla richiamata disposizione, contenuta nell’art. 91, comma 5, d.lgs. n. 159/2011, che prevede la revisione “anche sulla documentata richiesta dell’interessato” (così implicitamente statuendo il potere del Prefetto di procedervi d’ufficio), ma, se si vuole, pure dal combinato disposto dei commi 2 e 3 dello stesso art. 86 d.lgs. n. 159/2011, che pone un’eccezione al termine di validità di un anno quando negli organismi societari siano intervenute modificazioni relativamente ai soggetti destinatari di verifiche antimafia, di cui i legali rappresentanti hanno l’obbligo di dare comunicazione entro trenta giorni al Prefetto che ha rilasciato l’informazione antimafia. La tenuta costituzionale dell’informazione interdittiva antimafia, con i suoi effetti di grave limitazione della libertà di iniziativa economica per chi la subisce, è garantita proprio da quella stessa natura provvisoria, che, per finalità preventive, serve a rinnovare il monitoraggio sulle imprese e consente ad intervalli anche temporalmente ravvicinati, ed in ogni caso di contatto con la pubblica amministrazione o con enti pubblici, controllati o vigilati, di rinnovare le verifiche sui rischi di infiltrazione nella gestione delle imprese, che in precedenza ne fossero risultate esenti. La stessa attenzione è dovuta per verificare se un’impresa colpita da interdittiva sia successivamente liberata dalle relazioni con soggetti e contesti pericolosi. Come ha sottolineato la Corte Costituzionale con la sentenza 14 gennaio 2020, n. 57, può ritenersi ispirata a ragionevolezza e proporzionalità la disciplina dell’intervento prefettizio volto a colpire in anticipo il fenomeno mafioso, perché “un ruolo particolarmente rilevante assume il carattere provvisorio della misura. È questo il senso della disposizione dell’art. 86, comma 2, D.L.vo n. 159 del 2011, secondo il quale l’informativa antimafia ha una validità limitata di dodici mesi, cosicché alla scadenza del termine occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva, con l’effetto, in caso di conclusione positiva, della reiscrizione nell’albo delle imprese artigiane, nella specie, e in generale del recupero dell’impresa al mercato. E va sottolineata al riguardo la necessità di un’applicazione puntuale e sostanziale della norma, per scongiurare il rischio della persistenza di una misura non più giustificata e quindi di un danno realmente irreversibile”.