La preminenza assoluta dei sequestri di prevenzione: un difficile dialogo con le procedure concorsuali
Nella tavola rotonda del convegno Advisora, svoltosi a Villa Malfitano lo scorso 22 febbraio a Palermo, si sono confrontati Roberto Fontana, Livia De Gennaro, Clelia Maltese, Roberto Paese e Fabio Cesare.
Sono stati affrontati i delicati temi di interazione tra le procedure concorsuali e i sequestri di prevenzione e penali, sotto la luce del nuovo articolo 317 del codice della crisi di impresa, il quale sancisce che le procedure concorsuali recedono di fronte alle misure conservative penali e di prevenzione.
Nella sostanza il codice impone l’accertamento dello stato passivo di prevenzione anche nei sequestri penali, con il conseguente accertamento della buona fede, estranea alla verifica crediti fallimentare.
E’ emerso come la soluzione adottata dal codice della crisi sia frutto di una visione generalpreventiva: infatti, l’estensione della verifica crediti a tutti i sequestri del codice di procedura penale, induce ad aumentare il livello di attenzione di chi negozia con i soggetti vicini ad ambienti criminali e a soppesare meglio le relazioni commerciali onde scongiurare il rischio di veder disconosciuto il proprio credito anche all’interno del sequestro penale per la mancanza di buona fede.
La preminenza e la tendenza espansiva dei sequestri penali e di prevenzione è il portato di un percorso che si è delineato a partire dalla nota sentenza Focarelli (Cass., Sez. un., 24.05.2004, n. 29951), con cui è stata sancita la prevalenza della confisca (e del precedente sequestro) nei confronti della procedura fallimentare.
L’itinerario dei giudici della Suprema Corte è giunto a un punto di maturazione che ha riguardato i rapporti con i sequestri previsti dall’art. 53 d. lgs. 231/2001 e i sequestri di prevenzione, valorizzando in particolare gli artt. 63-64 del codice antimafia che prevedono la chiusura del fallimento per assenza di attivo qualora la misura ablativa sia successiva alla procedura concorsuale.
E’ stato poi indicato come, secondo le prassi del Tribunale di Palermo, il difficile bilanciamento tra misure conservative e ablative debba trovare un punto di equilibrio con le esigenze di conservazione di attività di impresa, quale valore in sé e quale mezzo dinamico per migliorare il valore di soddisfacimento dei creditori.
In quest’ottica va letta la prima valutazione dell’amministratore giudiziario ex art. 41 cod. antimafia.
In questa sede deve essere focalizzata immediatamente la possibilità che l’azienda sequestrata possa continuare a competere nel mercato nonostante i maggiori oneri conseguenti dall’emersione dall’illegalità. Una simile valutazione dovrà prendere come punto di riferimento i costi e le passività successive al sequestro e non quelle precedenti, perché esse verranno accertate dopo la confisca di primo grado e pagate in moneta concorsuale dall’Agenzia dopo la confisca definitiva.
Se i costi di prosecuzione e le “sopravvenienze” conseguenti alla emersione della legalità possono essere assorbiti dalla redditività prospettica, l’impresa potrà proseguire, diversamente l’impresa dovrà intraprendere una fallimento in proprio ex art 63 cod. ant., poiché non merita di rimanere sul mercato e dovrà lasciare spazio alle aziende sane.
L’impresa criminale è infatti una impresa anticoncorrenziale, poiché non si confronta con i competitor a parità di condizioni: non paga le imposte, non paga i contributi e non adotta alcun costoso modello di prevenzione degli infortuni.
Pertanto è fatale che l’emersione dalla illegalità possa determinare una crisi in grado di spazzarla via dal mercato.
Per evitare una eterogenesi dei fini, per non veicolare il messaggio al territorio circostante che con l’avvento della legalità non ci sia la possibilità di creare reddito, il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione costituiscono un valido strumento per permettere di graduare l’impatto dei costi della legalità e di scambiare ricchezza con il tessuto imprenditoriale circostante.
In tal modo si eviterà di far percepire che la legalità sia una condizione dalla quale si elimina la possibilità di percepire reddito.
La duplicazione delle procedure reca non poche difficoltà applicative, connesse ad esempio alla necessità di richiedere le autorizzazioni a due giudici che possono ritenere di adottare soluzioni diverse: per evitare inutili dispendi di energie ed eccessive calcificazioni, si potrebbe suggerire di demandare alla procedura di prevenzione, in virtù del principio di prevalenza, ogni onere autorizzatorio, lasciando al giudice delegato del concordato un ruolo più notarile.
Un cenno va fatto alle procedure di sovraindebitamento, esperibili anche per le società di minore impatto economico, ma non per questo estranee alle misure ablative: l’accordo di composizione della crisi e la liquidazione del patrimonio possono infatti costituire uno strumento per ridurre le responsabilità dell’amministratore in caso la misura sia revocata. Possono anche contribuire a stabilizzare la cesura tra patrimonio e tessuto criminale grazie alla nomina stabile di un liquidatore giudiziale, deputata al pagamento dei creditori pregressi in via definitiva, a prescindere dalle vicende del sequestro.
Si realizza così, in modo indiretto, ma stabile anche in caso di revoca della misura, il principale obiettivo della prevenzione: spezzare il legame tra profitto del reato e territorio criminale.
Fabio Cesare, avvocato e fondatore Advisora