a cura di Marcella Vulcano
I beni confiscati alla criminalità organizzata rappresentano per il territorio una potenziale risorsa dal punto di vista economico, in quanto consentono di creare opportunità di lavoro, di rispondere ai bisogni di fasce svantaggiate, di fornire servizi e attività utili per i cittadini, ma svolgono anche un ruolo fortemente simbolico. Dalla restituzione alla collettività di un bene confiscato si riparte, ribaltando la logica della criminalità: dove si annidavano illegalità, violenza, omertà, sopraffazione, nascono comunità, bellezza, riscatto morale.
La concreta restituzione alla società civile di un bene confiscato non può prescindere da una gestione efficiente del bene stesso e dalla compiuta realizzazione di attività progettuali in grado di incidere positivamente sul tessuto sociale ed economico.
Per questo motivo nei processi di gestione e valorizzazione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie non si può prescindere dall’utilizzo di una strategia nazionale di intervento nella quale vanno inserite le politiche integrate di sicurezza, di legalità e di sostegno alla valorizzazione di beni e aziende confiscati alla criminalità organizzata.
Accanto all’impegno delle Istituzioni, però, occorre una rivoluzione culturale che sposti l’accento dai beni confiscati ai beni restituiti, da ciò che viene sottratto alla criminalità a ciò che viene restituito alla collettività e al territorio. Per attuare questa rivoluzione culturale è necessario un gioco di squadra in cui tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nelle diverse fasi del procedimento, possano dialogare e collaborare e non ragionare per compartimenti stagni.
Il complesso processo di confisca che, partendo dalla proposta e dal decreto di sequestro, dopo una delicata fase di amministrazione e gestione, approda alla confisca definitiva ed alla destinazione dei beni per fini istituzionali o sociali, coinvolge molteplici attori protagonisti della repressione e prevenzione dei fenomeni criminali e mafiosi.
Accanto ad una dimensione investigativa e giudiziaria, di competenza della magistratura e delle forze di polizia, ci sono una dimensione economica tesa alla valorizzazione territoriale delle risorse sottratte con la violenza; una dimensione politica diretta a restituire ai cittadini la fiducia nelle istituzioni e nella vita democratica del Paese; una dimensione sociale, culturale ed educativa, volta a dimostrare che le mafie non sono invincibili e che ciascuno deve contribuire, anche la società civile.
Il riutilizzo sociale dei beni confiscati deve essere considerato in un’ottica di sviluppo comunitario in termini di occupazione, di inclusione sociale, di miglioramento della qualità della vita e di partecipazione democratica. La promozione, diffusione e attuazione dei progetti per la valorizzazione dei beni confiscati contribuiscono, infatti, al rafforzamento delle politiche di coesione sociale, di lavoro per i giovani e di sviluppo di reti relazionali, attraverso il metodo del partenariato pubblico – privato.
Come efficacemente osservato dal prof. Rocco Sciarrone, il riuso sociale dei beni deve rappresentare un indicatore di comunità alternative alle pratiche e alla cultura del crimine organizzato. Un indicatore di quanto le istituzioni, gli enti locali, la società civile possano favorire la costruzione di capitale sociale diffuso – che poggia sul tessuto associativo dell’economia civile, capace di alimentare fiducia diffusa e tendenza alla cooperazione – in netta contrapposizione al capitale sociale mafioso, che poggia invece su cointeressenze, su relazioni esterne ai clan, sulla capacità delle mafie di stringere rapporti di collusione e complicità con sfere della società civile e delle istituzioni. Proprio questa abilità nelle dinamiche relazionali costituisce una risorsa fondamentale per la riproduzione della mafiosità e per generare il consenso che la sorregge. Da un efficace riuso sociale dei beni, invece, può nascere un virtuoso fenomeno di imprenditoria alternativa capace di intaccare i meccanismi che sono alla base della genesi e della riproduzione del consenso sociale mafioso.
Tuttavia le criticità nella gestione, destinazione e riutilizzo dei beni confiscati sono innumerevoli. Spesso i beni sono percepiti dagli enti locali come un onere piuttosto che come una opportunità. A volte i beni non vengono valorizzati, bensì rimangono a lungo inutilizzati per varie ragioni o sono assegnati a soggetti che non sono in grado di sfruttarne le potenzialità. Altre volte ancora la valorizzazione dei beni confiscati si esaurisce nel trasferimento di risorse finanziarie pubbliche agli enti locali finalizzate alla ristrutturazione del bene.
Questo approccio ha portato in secondo piano i contenuti, le idee e i soggetti locali.
Ed invece, i casi di buone pratiche di riutilizzo sociale hanno dimostrato che è proprio dalla mobilitazione delle risorse territoriali e dal coinvolgimento della comunità che sono nate esperienze di economia virtuosa.
Nella fase di destinazione e assegnazione, il ruolo dei comuni, che nella maggior parte dei casi divengono proprietari dei beni confiscati, è un ruolo delicatissimo e centrale.
Per una destinazione efficace ed efficiente dei beni confiscati occorre una programmazione che, partendo da percorsi trasparenti e partecipati di valorizzazione, tenga conto di una serie di variabili che vadano oltre il semplice criterio geografico, quali la domanda da parte delle realtà associative, le capacità operative e progettuali di tali soggetti, i fabbisogni dei potenziali beneficiari diretti, la presenza di filiere produttive ed economiche di riferimento, le politiche territoriali di welfare, etc.
Obiettivo della programmazione, dunque, dovrebbe essere quello di allocare i beni confiscati nella maniera più efficiente destinandoli ai territori e ai soggetti che si dimostrino maggiormente capaci di valorizzarli.
Advisora, su richiesta del Comune di Napoli, anche in collaborazione con Libera Campania e il movimento Agende Rosse Campania, ha elaborato una proposta di miglioramento del regolamento per l’assegnazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata trasferiti al patrimonio indisponibile del Comune di Napoli. Tale regolamento, infatti, risultava carente sotto vari profili.
Il 24 maggio 2019 il Comune di Napoli, con delibera della Giunta comunale, ha approvato le nuove “Linee guida per l’acquisizione e l’assegnazione dei beni confiscati alle mafie trasferiti al patrimonio indisponibile del Comune di Napoli”.
Le nuove Linee guida hanno recepito molte delle proposte formulate da Advisora.
Prima fra tutte la previsione della assegnazione provvisoria, resasi necessaria a seguito della introduzione nel codice antimafia, da parte della legge di riforma n° 161/2017, dell’istituto dell’Assegnazione Provvisoria quale forma anticipata di destinazione e riuso sociale di immobili e aziende, che avviene in un momento antecedente alla definitività della confisca, ossia sin dalla fase del sequestro (art. 41 d.lgs. 159/2011). La ratio della norma risiede nell’esigenza di garantire continuità e coerenza alle scelte effettuate durante il sequestro e la gestione dei beni da parte dell’amministratore giudiziario e del giudice delegato alla procedura, che il legislatore della riforma ha voluto sensibilizzare/responsabilizzare con l’invito ad intercettare sin dall’inizio della procedura la possibile destinazione del bene.
L’art. 110, co.2 lett. b) del d.lgs. 159/2011 (come modificato dalla l.161/2017), introduce, tra i compiti della ANBSC, quello di ausilio all’autorità giudiziaria e all’amministratore giudiziario nel corso del procedimento di prevenzione o penale, ausilio finalizzato a rendere possibile, già dalla fase del sequestro, l’assegnazione provvisoria dei beni immobili e delle aziende per fini istituzionali o sociali agli enti, alle associazioni e alle cooperative di cui all’articolo 48, comma 3, ferma restando la valutazione del giudice delegato sulla modalità dell’assegnazione.
L’art. 112 del codice antimafia è dedicato ai comuni e prevede che il comitato consultivo e d’indirizzo della ANBSC, nel corso del procedimento di prevenzione o penale, su impulso dell’amministratore giudiziario e previa autorizzazione del giudice delegato alla procedura, possa chiedere al comune la disponibilità a prendere in carico beni immobili fin dalla fase del sequestro. È chiaro che tale previsione si applicherà con le dovute eccezioni trattandosi di una assegnazione provvisoria e non definitiva (ad es. il comune in tali casi non provvederà alla trascrizione presso i registri immobiliari con vincolo di indisponibilità e non inserirà il cespite nel patrimonio indisponibile del comune).
Un’altra proposta riguarda i requisiti richiesti agli enti gestori concorrenti per la partecipazione alla procedura di assegnazione. Il precedente regolamento richiedeva la costituzione formale da almeno due anni dell’ente concorrente ed il possesso di esperienze maturate nella specifica area di destinazione d’uso. Abbiamo ritenuto che tali requisiti potessero bloccare l’accesso ai giovani, giacimento infinito di risorse ma che, proprio in quanto giovani, sono spesso privi di esperienza. Siamo convinti che il riuso sociale oltre ad avere un forte valore simbolico, etico e civico possa e debba divenire volano per lo sviluppo economico e sociale dei territori, creando opportunità di accesso al lavoro attraverso la costituzione da parte dei giovani di cooperative, start up, associazioni, etc.
Abbiamo proposto, pertanto, di ridurre il periodo di costituzione formale e di sostituire il requisito del possesso di comprovate esperienze con quello della attinenza del progetto alla specifica area di intervento e destinazione d’uso preventivamente indicate per ciascun bene.
Le Linee guida appena approvate in Giunta comunale hanno ridotto il periodo di costituzione formale dell’ente concorrente ad un anno ed hanno eliminato il requisito del possesso di esperienze maturate nella specifica area di destinazione d’uso.
Un aspetto molto delicato del regolamento riguarda la durata della assegnazione. Il precedente regolamento prevedeva una durata di 3 anni senza alcuna distinzione tra i vari beni. Si trattava di un punto debole che generava notevoli disagi per gli affidatari legati alla difficoltà di ottenere la fiducia bancaria. Non di rado, infatti, accadeva che il tempo dell’affidamento fosse inferiore a quello di produzione del ritorno sociale dell’investimento. Nel caso di beni agricoli, poi, il discorso è ancora più complesso. Spesso occorrono importanti investimenti e tempi lunghi per il rilancio sociale di un fondo agricolo, per rendere produttivi i terreni creando un circuito economico virtuoso, tempi ed investimenti legati soprattutto alle esigenze della produzione agricola. Abbiamo perciò suggerito di allungare la durata dell’affidamento diversificandola in base ad alcuni criteri, quali la natura e la grandezza del bene e l’investimento che comporta la realizzazione del progetto sociale. Abbiamo richiesto, altresì, di prevedere il rinnovo dell’affidamento solo in caso di bilancio economico e sociale positivo, ossia quando l’ente assegnatario sia riuscito a rendere il bene confiscato un “patrimonio collettivo”, occasione di sviluppo sociale ed economico, coinvolgendo attivamente la comunità locale, ottenendo così importanti risultati in termini di ricaduta sociale sul territorio.
Alla luce delle numerose istanze pervenute alla amministrazione comunale sul punto della durata dell’affidamento, le nuove Linee guida prevedono che i beni immobili confiscati vengano assegnati, a titolo gratuito, per un periodo di 7 anni per i beni con metratura complessiva fino a 150 mq; di 10 anni per i beni con metratura complessiva superiore a 150 mq; di 15 anni per i fondi agricoli. Sono fatti salvi i casi di comprovati finanziamenti che possano vincolare la durata dell’assegnazione al finanziamento stesso.
In merito al rinnovo, poi, le nuove Linee guida prevedono che le assegnazioni siano rinnovabili per una sola volta tenuto conto delle risultanze delle attività di monitoraggio, attività che richiede al soggetto assegnatario del bene di presentare annualmente al Servizio competente in materia di beni confiscati il bilancio dell’Ente/Associazione ed una relazione sulle attività svolte e i risultati conseguiti.
L’adozione da parte del Comune di Napoli di nuove Linee guida per l’assegnazione dei beni confiscati rappresenta un primo ed indispensabile passo verso la rivoluzione culturale dai beni confiscati ai beni restituiti e per dare effettività alle ragioni profonde che sono alla base della normativa antimafia. Auspichiamo che altre amministrazioni, sull’esempio del Comune di Napoli, si dotino di un buon regolamento, strumento indispensabile per realizzare progetti di valorizzazione dei beni confiscati che siano capaci di generare una ritrovata fiducia nel territorio ed alternative credibili alle economie e alle logiche criminali.