a cura di Fabio Cesare

Accanto all’accordo di composizione della crisi e al piano del consumatore la Legge n. 3/2012 sul sovraindebitamento prevede la liquidazione del patrimonio, che in via di prima approssimazione può essere assimilato ad un fallimento, con alcuni dei suoi effetti tipici: lo spossessamento, la creazione di una massa separata attiva destinata ai creditori concorsuali, la nomina di un liquidatore giudiziale con il compito di verificare il passivo e distribuire il ricavato ai creditori.

SOMMARIO:
1. Inquadramento – 2. Il quadro normativo e le possibili linee interpretative – 3. Il ricorso in via diretta e a seguito della conversione – 4. La nomina dell’OCC e del gestore – 5. Il decreto di apertura: verifiche del Tribunale, contenuto ed effetti del decreto – 6. L’accertamento del passivo e la fase della liquidazione dell’attivo: le lacune e l’applicazione delle norme in tema di rapporti pendenti e in tema di liquidazione dell’attivo della legge fallimentare – 7. Conclusioni: quando scegliere la liquidazione dei beni – 8. Riferimenti

1. Inquadramento
Accanto all’accordo di composizione della crisi e al piano del consumatore la Legge n. 3/2012 sul sovraindebitamento prevede la liquidazione del patrimonio, che in via di prima approssimazione può essere assimilato ad un fallimento, con alcuni dei suoi effetti tipici: lo spossessamento, la creazione di una massa separata attiva destinata ai creditori concorsuali , la nomina di un liquidatore giudiziale con il compito di verificare il passivo e distribuire il ricavato ai creditori.

La particolarità della procedura in esame rispetto al piano del consumatore all’ accordo di composizione della crisiè pertanto l’assenza di una proposta ai creditori. I creditori vengono regolati attraverso la messa a disposizione di tutto il patrimonio del sovraindebitato, al quale il giudice potrà attribuire una quota dell’eventuale reddito futuro per i bisogni propri e della propria famiglia. Diversamente dagli altri istituti della Legge n. 3/2012, l’apertura della liquidazione determina il solo blocco delle azioni esecutive, e non anche la rimodulazione o la novazione delle obbligazioni. Solo con il decreto di chiusura, erroneamente definito omologa dal legislatore, è possibile rendere inesigibili le obbligazioni concorsuali mediante un diverso ed eventuale procedimento, l’esdebitazione, riservato alle sole persone fisiche, ma con requisiti più stringenti rispetto alla liquidazione.

2. Il quadro normativo e le possibili linee interpretative
La Legge n. 3/2012 istitutiva della composizione della crisi da sovraindebitamento non contemplava la liquidazione del patrimonio. L’istituto è comparso con la repentina riforma del D.L. 179/2012, di pochi mesi successiva all’introduzione della disciplina. Essa ha novellato la precedente normativa introducendo gli articoli 14-ter– 14-terdeciesrubricati “liquidazione del patrimonio”. Le ragioni di un così immediato cambio di direzione, da una disciplina di composizione della crisi di tipo negoziale a uno strumento dichiaratamente concorsuale, vanno ricercate nel totale insuccesso della prima versione della legge. La relazione illustrativa del secondo intervento ne individua i motivi alla luce del dato comparato: tutti i Paesi che si sono dotati di una disciplina per la risoluzione di crisi come quelle in parola hanno optato per uno strumento concorsuale con effetti esdebitatori e non si sono limitati ad introdurre soluzioni transattive fondate sul diritto civile, come previsto originariamente dalla prima versione della Legge n. 3/2012. Così, l’attuale fisionomia della legge innesta due stratificazioni normative, una di matrice transattiva e l’altra dichiaratamente concorsuale. La pessima tecnica legislativa e la totale mancanza di coordinamento con la legge fallimentare hanno contribuito a renderla estremamente oscura per gli interpreti e di difficile attuazione. La tecnica legislativa non è l’unica fonte di incertezza. Il sovraindebitamento incide su aspetti assai radicati negli operatori del diritto concorsuale. Si tratta del principio consensualisticodi cui all’ art. 1373c.c. e del principio della garanzia patrimoniale disciplinata dall’ art. 2740c.c.. Nelle prime pronunce e nei primi commenti si è determinata una malcelata resilienza nel rifiutare l’applicazione dell’istituto, poiché il trapianto di norme ispirate al Chapter 7 e al Chapter 13(e ai loro sottomodelli) proviene da un tessuto culturale affatto estraneo alla formazione dei giuristi italiani: si sono così generati vigorosi anticorpi, con un concreto rischio di rigetto del trasferimento di istituti originari di altri sistemi giuridici e confliggenti con alcuni principi generali dell’ordinamento.

Questa breve premessa si rivela necessaria per comprendere l’utilità di una lettura dell’istituto non solo di sistema, bensì più marcatamente orientata all’interpretazione teleologica. Per comprendere ed applicare al meglio l’istituto occorre infatti fare riferimento ai modelli di ispirazione del legislatore e alle finalità della disciplina, così da orientare l’interprete nell’applicazione in aderenza con gli obiettivi dell’istituto. Essi possono essere sinteticamente individuati anzitutto nella ripartenza del sovraindebitato, fresh starto esdebitazione: la legge vuole evitare che un soggetto passi la propria vita ad occuparsi della gestione dei propri creditori che non potranno che inseguire il miraggio del soddisfacimento dei propri crediti. Inoltre, con la composizione della crisi da sovraindebitamento si dovrebbe garantire una efficiente allocazione del patrimonio residuo, prescindendo dalle esigenze dei singoli creditori, e consentire all’esdebitato di riprendere la via del consumo, così da sostenere la domanda aggregata di beni, se il principio viene applicato su larga scala. Va poi focalizzata la funzione inclusiva nella legalità, tant’è che la legge 3/2012 contiene disposizioni anche sull’usura: i soggetti sovraindebitati possono essere facile preda di ambienti criminali, non solo legati a fenomeni usurari, ma connessi anche a rapporti di malaffare capaci di garantire altre attività illecite poiché, spinti dalla disperazione, i debitori potrebbero essere disposti ad accettare anche le sanzioni penali pur di soddisfare un’ineliminabile istinto alla sopravvivenza evidentemente più tenace di qualsiasi sanzione. Infine, si può tratteggiare una finalità deflattiva: l’apertura del concorso congela le iniziative esecutive e le concentra all’interno della procedura, così da liberare il carico di lavoro di diversi giudici impegnati a gestire procedure esecutive individuali.

Il presente contributo si propone di tratteggiare la liquidazione dei benicon questa prospettiva metodologica, con la massima aderenza alle finalità riposte nell’istituto dal legislatore.

3. Il ricorso in via diretta e a seguito della conversione
L’atto di impulso della liquidazione del patrimonio avviene su ricorso non dei creditori, ma del solo sovraindebitato in via diretta. Può essere introdotta anche a seguito di un evento patologico dell’accordo di composizione della crisio del piano del consumatore. Sono le ipotesi di annullamento risoluzione ex art. 14,revoca e cessazione degli effetti ex art. 14-bis, mancata esecuzione dei pagamenti previsti nel piano alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di previdenza e assistenza obbligatori ex art. 11, comma quinto, Legge n. 3/2012. In questo gruppo di fattispecie, la conversione viene disposta su istanza del debitore o di uno dei creditori, mentre nel solo caso in cui risultino compiuti durante la prima procedura atti diretti a frodare i creditori, l’impulso per la conversione dell’accordo o del piano in liquidazione del patrimonio può avvenire d’ufficio a norma dell’art. 11, quinto comma, anche sulla semplice informativa dell’OCCche ha il compito di vigilare sulla procedura (art. 13). In caso di conversione, non sembrerebbe necessario allegare all’istanza la relazione particolareggiata dell’OCC (su cui v. infra), né un ulteriore corredo documentale, poiché acquisiti nella precedente fase; nemmeno pare necessaria una ulteriore verifica circa l’assenza di atti di frode , non richiesta dall’art. 14 bis.

Il ricorso del debitore in via diretta per la liquidazione del patrimonio prevede una produzione documentale assai articolata, disciplinato dall’art. 14, commi secondo e terzo. Esso deve essere accompagnato da unarelazione dell’organismo di composizione della crisi che fotografi le cause della crisi, il resoconto sulla solvibilità del debitore negli ultimi cinque anni, l’esistenza di atti impugnati negli ultimi cinque anni (con particolare riguardo alle revocatorie) e il giudizio sulla completezza e sulla attendibilità della documentazione. Va infatti ricordato che l’istituto in commento è accessibile anche ai consumatori, che non dispongono di una contabilità in grado di fotografare i movimenti del sovraindebitato: è dunque possibile che la documentazione a disposizione dell’OCC non sia sufficiente quando non sia addirittura priva di riscontri di coerenza esterna e pertanto risulti inattendibile, con conseguente impossibilità di accedere agli istituti del sovraindebitamento. Il ricorso apre un procedimento non contezioso di volontaria giurisdizione, disciplinato dagli art. 737c.p.c. e ss. E’ necessaria l’assistenza di un difensore, per il principio generale sancito dall’art. 82, terzo comma, c.p.c., anche se non mancano pronunce di segno opposto intese a valorizzare la necessità di contenere i costi professionali di simili procedure e la natura non contenziosa del giudizio, circostanza che ammetterebbe la possibilità per il sovraindebitato di stare in giudizio personalmente. Va segnalata sul tema una posizione intermedia del Tribunale di Vicenza (Trib. Vicenza, 29 aprile 2014) che conclude per la necessità del patrocinio, per l’unicità della procedura con fasi e gradi di natura potenzialmente conteziosa (reclamo, sostituzione del liquidatore, gestione del Processo civile telematico e, nel Piano e nell’accordo, l’opposizione all’omologa). La pronuncia ammette comunque che la difesa tecnica possa essere assunta anche dall’OCC qualora il gestore della crisi in concreto sia un avvocato. Le valutazioni e le interferenze con la legge fallimentare e con le esecuzioni impongono comunque in via sostanziale l’ausilio di un legale, senza il quale ben difficilmente sarà possibile giungere ad un provvedimento efficace.

La domanda va presentata al Tribunale del luogo di residenza o della sede del sovraindebitato, ma non sussiste alcuna regola analoga all’art 9l. fall. in grado di far prevalere la sede effettiva rispetto a quella formale o a evitare scelte di forum shopping,che qui potranno essere legittimamente adottate. Qualche cenno meritano i cittadini residenti all’estero iscritti all’AIRE. In una sporadica pronuncia è stato accolto un ricorso di un cittadino residente all’estero radicando la competenza del luogo dove erano collocati i suoi interessi preminenti, luogo che coincideva con l’ultima residenza italiana e con quella del coniuge che aveva presentato analogo ricorso congiunto (Trib. Vicenza 26 novembre 2016).

4. La nomina dell’OCC e del gestore
Va ricordato che la relazione particolareggiata e ilgiudizio di attendibilità della documentazione , al pari dell’attestazione di fattibilità nel piano e nell’accordo, dovrà essere predisposta dall’OCC, nominato alternativamente ex art. 15, comma 9, con richiesta al Tribunale, ovvero mediante richiesta di nomina del gestore all’organismo di composizione della crisi del luogo di residenza o della sede del ricorrente. Nel primo caso, la soluzione preferibile è quella adottata comunemente dalla maggior parte dei Tribunali, compreso quello di Milano, che nominano il professionista con le funzioni dell’OCC e dichiarano immediatamente estinto il giudizio.

Con il successivo deposito del ricorso per la liquidazione dei beni, prescelto dal debitore con l’ausilio del gestore, viene poi aperto il procedimento liquidatorio. Ciò consente di fugare dubbi circa la pendenza di una procedura sin dalla nomina del gestore, con le conseguenti limitazioni per la riproponibilità della domanda per il ricorrente; permette poi di non lasciare indefinitamente pendente la procedura sino al deposito del ricorso per sovraindebitamento, che potrebbe non essere mai intrapreso. Nell’ottica di tale impostazione, si instaura un rapporto privatistico tra sovraindebitato e professionista , analogamente alla nomina del revisore ex art. 2343cod. civ. per la stima dei conferimenti. Ma non è questa la sede per definire i compiti del OCC e del gestore nominato, e si rinvia quindi ai riferimenti bibliografici.

5. Il decreto di apertura: verifiche del Tribunale, contenuto ed effetti del decreto
Il Tribunale deve verificare la completezza della documentazione e la corrispondenza della situazione patrimoniale nonché la coerenza delle valutazioni dell’OCC. Deve altresì verificare l’inesistenza di atti di frode, che riecheggiano il disposto dell’art. 173l. fall. (ma i principi elaborati in tema non possono qui ricorrere, perché nella liquidazione del patrimonio non vi è alcun accordo con i creditori, diversamente che nel concordato preventivo). Il concetto di atti di frode potrebbe essere assai problematico, poiché non si comprende perché il sovraindebitato che li abbia compiuti debba essere escluso, posto che la liquidazione del patrimonio non determina l’immediata esdebitazione. L’esclusione potrebbe avere senso se il procedimento determinasse benefici solo per il solo ricorrente e non per l’intero ceto creditorio, avvantaggiato da una più efficiente esecuzione concorsuale. Diversamente, sarebbe come escludere dal fallimento gli imprenditori che hanno compiuto reati fallimentari prima della dichiarazione di insolvenza, il che evidentemente non può essere ragionevole. Una lettura possibile del requisito in esame può essere il frutto di un bilanciamento tra i richiamati principi della garanzia generica, del principio consensualistico e della finalità del sovraindebitamento. Ove siano riscontrati atti volontariamente depauperativi, in grado di rendere inaffidabile la ricostruzione del patrimonio operata dall’OCC, è evidente che il patrimonio posto a disposizione dei creditori possa essere diverso da quello rappresentato, con evidente impossibilità di aprire una seria liquidazione. Se il giudice, evidentemente reso edotto dall’OCC o da un creditore, dovesse riscontrare simili atti, avrebbe dunque il potere-dovere di rigettare la domanda. Va rimarcato che il ricorso non contiene alcuna proposta, né alcun piano: il debitore mette a disposizione tutti i propri beni, presenti passati e futuri, con le esclusioni che vedremo a breve, a prescindere dalla loro consistenza e valorizzazione. Pertanto, il Tribunale non effettua alcuna valutazione circa la possibile realizzazione di un qualche attivo per i creditori, che può tendere anche a zero, né dovrebbe articolare alcuna valutazione di fattibilità economica o di convenienza per i creditori.

Riscontrata la completezza della documentazione l’ assenza degli atti di frode , la procedura si apre con decreto. Gli effetti sono curiosamente riferiti a due fasi della procedura: la sospensione degli interessi sul chirografo si determina con il semplice deposito del ricorso, mentre gli effetti della’ rt 14-quinquiessolo con il decreto di apertura. Essi sono: la nomina del liquidatore con i requisiti di cui all’ art. 28l. fall., il blocco delle azioni esecutive fino alla chiusura della liquidazione (erroneamente indicata come omologa), la definizione della pubblicità del decreto (la prassi è la pubblicazione nel registro delle imprese o la pubblicazione sul sito del tribunale), l’ordine di trascrizione del provvedimento per i beni registrati, l’ordine di consegna dei beni al liquidatore, la definizione della misura dei redditi necessari per il sostentamento del ricorrente e della sua famiglia, di solito pari a quella indicata dal sovraindebitato nell’atto introduttivo. Altri effetti possono essere ricavati dal sistema, primo tra essi la scadenza immediata di tutte le obbligazioni concorsuali, senza la quale non sarebbe possibile richiedere la partecipazione al riparto. L’apertura del procedimento è equiparata al pignoramento: una separazione patrimoniale tra i beni che rimangono nella titolarità del ricorrente, quali il reddito necessario per il sostentamento e i crediti non pignorabili che non rientrano nel patrimonio da liquidare, e gli altri beni, anteriori e successivamente sopravvenuti fino alla chiusura della liquidazione. Si determina così uno spossessamento “diversamente” attenuato del sovraindebitato, che può gestire il patrimonio non soggetto al vincolo in piena autonomia.

6. L’accertamento del passivo e la fase della liquidazione dell’attivo:
le lacune e l’applicazione delle norme in tema di rapporti pendenti e in tema di liquidazione dell’attivo della legge fallimentare
Il passivo viene accertato con un subprocedimento modellato sulla verifica dei crediti nel fallimento , ma, come per la liquidazione coatta amministrativa, è previsto un ruolo solo eventuale del Tribunale, a conferma dell’intento deflattivo della procedura: il liquidatore forma lo stato passivo definitivo e rimette al giudice soltanto la decisione sulle contestazioni dei creditori, secondo il meccanismo previsto dall’art. 14 octies. La legge non prevede un termine per il deposito delle istanze di insinuazione al passivo, tuttavia non può negarsi la facoltà di inoltrare delle istanze tardive, o quantomeno ultratardive laddove il creditore dimostri di non essere responsabile del ritardo: ciò per attribuire alla normativa una lettura costituzionalmente orientata in tema di diritto alla difesa e di giusto processo.

Il liquidatore ha l’amministrazione dei beni e può recuperare i crediti stando in giudizio personalmente (e senza l’autorizzazione del giudice, che qui non è prevista). Qualche dubbio ha suscitato l’azione revocatoria. Da un lato, l’esistenza di atti revocabili potrebbe costituire atto di frode e quindi dovrebbe ostare alla apertura della liquidazione. La questione potrebbe essere rilevante se l’atto (o la revocatoria pendente, ma ignota al tribunale) fosse scoperto successivamente all’apertura del concorso. Da un lato la Legge n. 3/2012 non contempla una norma analoga all’art. 66l.fall.: ciò farebbe pensare che l’azione di cui all’ art. 2901c.c. sia esclusa. Dall’altro, nel caso in cui la revocatoria fosse pendente, non sarebbe compatibile con i principi del concorso che di essa si avvantaggi un solo creditore a scapito della massa. E ciò tanto più se l’esecuzione del bene oggetto di revoca fosse pendente al momento dell’apertura del concorso: infatti, per espressa disposizione di legge, il liquidatore subentra nelle esecuzioni e quindi anche nell’esecuzione disciplinata dagli artt. 602e ss. c.p.c. per la revocatoria. E’ pur vero che si tratta di un’azione che comporterebbe una possibile legittimazione straordinaria che a norma dell’art. 81c.p.c. deve essere espressamente prevista dalla legge. Tuttavia, l’ art. 14-decies attribuisce al liquidatore “ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del liquidatore e comunque correlata con lo svolgimento dell’attività di amministrazione.” Egli può anche esercitare le azioni “volte al recupero del credito” , e tra di esse va sicuramente annoverata l’azione pauliana. La norma richiamata potrebbe dunque validamente fondare la legittimazione attiva del liquidatore quale sostituto processuale del sovraindebitato. Il tema rimane comunque ancora aperto. Qualche ulteriore incertezza sorge dalla mancata disciplina dei rapporti giuridici pendenti, completamente omessi dalla disciplina della liquidazione dei beni. A rigore, il principio generale di cui all’art. 1373c.c. dovrebbe rendere speciale il disposto di cui agli art. 72e ss. l. fall. che si occupa del tema, e pertanto insuscettibile di applicazione analogica. Tuttavia, la natura concorsuale dell’istituto e il conseguente fenomeno successorio del patrimonio in capo al liquidatore caratterizzano l’istituto in esame in modo così affine al diritto fallimentare che l’applicazione analogica degli art. 72 e ss. l. fall. non pare azzardata, tanto più se si focalizzano le conseguenze della mancata disciplina dei rapporti pendenti. Se i rapporti non si sciogliessero, si genererebbero degli oneri in prededuzione per la massa che a norma dell’art. 14-terdeciesdovrebbero essere pagati senza nemmeno essere accertati e dovrebbero sfuggire al divieto di azioni esecutive sancito dal decreto di apertura. Da ciò si dovrebbe dedurre che il liquidatore potrebbe subire l’esecuzione per i crediti posteriori derivanti da contratti pendenti (si pensi a un leasing). Simili pretese eroderebbero quasi immediatamente il residuo disponibile, frustrando gli obiettivi di efficiente allocazione delle risorse patrimoniali residue in favore dei creditori che il legislatore del sovraindebitamento si è prefissato. Ne dovrebbe conseguire che la disciplina sui rapporti pendenti del fallimento potrebbe essere applicata in via analogica alla liquidazione del patrimonio a pena di svuotare altrimenti di significato la disciplina.

Le modalità di liquidazione sono rimesse al rappresentante della procedura : questi deposita il programma di liquidazione in cancelleria, lo comunica al debitore e ai creditori, ma senza che esso sia approvato o possa essere impugnato. Esso deve indicare le azioni da intraprendere, ivi comprese le esecuzioni in corso nelle quali può subentrare, nonché le vendite dei beni che devono avvenire mediante procedure competitive. Il liquidatore ha un limitato controllo: né i creditori, né il giudice autorizzano gli atti di esecuzione del programma. L’assenza di controlli del liquidatore appare ancor più critica laddove si consideri che manca nella liquidazione (almeno letteralmente) un meccanismo di reazione analogo a quello dell’art. 36l. fall. per impugnare gli atti compiuti o omessi dal liquidatore. Solo ove ricorrano gravi e giustificati motivi il giudice può sospendere la liquidazione. Al termine della procedura, non prima di quattro anni dal decreto di apertura, dopo aver verificato la conformità degli atti dispositivi al programma, il giudice può autorizzare lo svincolo delle somme, ordinare la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo, compresa la trascrizione del decreto di apertura della procedura (art. 14-novies, terzo comma). Il termine quadriennale ha una duplice funzione. La prima è un miglior controllo dell’operato del ricorrente: nella fase dell’istruttoria precedente all’adozione del decreto di apertura, con connotazioni lato sensucautelari, tutti i beni e tutti gli atti compiuti dal sovraindebitato potrebbero non emergere, per la sommarietà della cognizione dovuta all’urgenza di adottare il provvedimento di apertura per bloccare le procedure esecutive. Ove dovessero emergere ulteriori atti di frode nel corso del quadriennio seguente, non si potrà accedere alla successiva esdebitazione, che infatti prevede all’art. 14-terdeciessecondo comma lett. b) una nuova verifica del requisito. La seconda ragione va ricercata nella necessità di acquisire eventuali beni sopravvenuti nel patrimonio del sovraindebitato, che, fino a quando è aperta la liquidazione, vengono destinati alla procedura, mediante integrazione dell’inventario stilato dal liquidatore all’apertura del concorso (art. 14-undecies).

7. Conclusioni: quando scegliere la liquidazione dei beni
Nonostante le copiose lacunee le gravi criticità, la liquidazione dei beni può essere utilmente esperita dai sovraindebitati cui è inibito l’accesso all’accordo o al piano del consumatore. Benchè non vi siano apparenti vantaggi per il ricorrente, essa può servire al debitore almeno per prendere fiato dalle esecuzioni e contribuire all’elaborazione del lutto connesso alla perdita del credito da parte del ceto creditorio. In tal modo, anche a prescindere dal concreto soddisfacimento del credito, si può realizzare una forma di originale di composizione delle liti, quale fine ultimo della giurisdizione.

L’ostacolo per l’applicazione dell’istituto non è solo connesso alla pessima tecnica legislativa adottata dalla Legge n. 3/2012, ma è di ordine culturale: occorre superare ilprincipio della garanzia genericae il principio consensualisticoe bilanciarli nell’interpretazione della Legge n. 3/2012 con gli obiettivi riposti dal legislatore nella disciplina. Così orientando l’interprete, sarà possibile ammettere, come a chi scrive pare perfettamente lecito, liquidazioni del patrimonio prive di beni da esitare, analogamente a quello che accade per fallimenti privi di attivo ex art. 102l. fall., nella consapevolezza che non vi sarà alcun vulnusai creditori, poiché essi non avrebbero conseguito di meglio dall’esecuzione individuale, mentre il più approfondito controllo della procedura concorsuale potrebbe garantire una migliore esitazione del credito grazie ai beni sopravvenuti, alle azioni recuperatorie che la procedura può esperire, lasciando (alle sole persone fisiche) la possibilità di redimersi dai debiti solo dopo un ampio lasso di tempo e di controllo.

8. Riferimenti Riferimenti normativi

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Art. 1373 c.c.
Art. 2901 c.c. Art. 9 c.c.
Art. 36. c.c.
Art. 66. c.c. Art. 72 l. fall. Art. 102 l. fall.

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Giurisprudenza collegata

Cass., Sez. Prima civ., 1 febbraio 2016 n. 1869; Trib. Cuneo, 25 marzo 2017;
Trib. di Bari, Seconda Sezione civile, Ufficio esecuzioni immobiliari, 19 maggio 2017; Trib. di Bergamo, 31 marzo 2015;
Trib. di Bergamo, 16 dicembre 2014;
Trib. di Ravenna, 10 Marzo 2017; Trib. di Ravenna, 17 dicembre 2014; Trib. di Reggio Emilia, 11 marzo 2015;
Trib. di Santa Maria Capua Vetere, 14 febbraio 2017; Trib. di Treviso 25 gennaio 2017;
Trib. di Treviso, 19 gennaio 2017; Trib. di Vicenza, 29 aprile 2014; Trib. Milano, 18 novembre 2016; Trib. Milano, del 22 aprile 2017;

Trib. Ravenna, 15 febbraio 2016;
Trib. Reggio Emilia, 19 novembre 2016; Trib. Udine, 4 gennaio 2017;
Trib. Verona, 20 luglio 2016;
Trib. Vicenza, Ordinanza di remissione 13 giugno 2014; Trib. Vicenza, 26 novembre 2016, est. Borrella, inedita.

Sovraindebitamento: Liquidazione del patrimonio

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